Quando l’articolazione che si interpone tra l’acetabolo e il femore subisce un danno irreparabile, di solito si interviene applicando una protesi d’anca, per ripristinare la fisiologica mobilità articolare e consentire il movimento degli arti inferiori.

I problemi che si pongono in situazioni del genere sono due: innanzitutto l’invasività dell’intervento, che arriva molto in profondità, e inoltre il programma di riabilitazione, lungo e impegnativo.

Anche se i più innovativi materiali con cui vengono realizzate le protesi sono sufficientemente durevoli, di solito è necessario sostituire la protesi dopo un certo numero di anni, sottoponendo il paziente a un nuovo intervento chirurgico.

Quando è necessario impiantare una protesi d’anca

Con il termine “anca” si indica la porzione anatomica del corpo che mette in collegamento le gambe con il tronco.

Essa è composta da un insieme di muscoli, legamenti e strutture scheletriche, costituite dal femore e dall’acetabolo, che è la cavità del bacino entro cui si va a posizionare la testa del femore.

Nel punto di collegamento tra femore e acetabolo, è presente una cartilagine circondata da liquido sinoviale che serve per minimizzare gli attriti derivanti dallo sfregamento delle porzioni ossee.

Come ogni articolazione, anche l’anca è soggetta a problematiche funzionali, che a seconda della gravità possono essere curate in vario modo.

Prima di sottoporsi a un intervento chirurgico di applicazione di una protesi, di solito si utilizzano terapie conservative di tipo farmacologico oppure fisioterapico.

Le cause più comuni che presuppongono un simile intervento chirurgico sono quattro:

  • artrosi e osteo-artrosi delle cartilagini articolari, la cui insorgenza dipende dalla loro usura;
  • artrite reumatoide, che è una forma di patologia autoimmune rivolta anche verso le articolazioni;
  • fratture, particolarmente frequenti nelle persone anziane, che compromettono irrimediabilmente la mobilità articolare;
  • tumori ossei e altre patologie come necrosi avascolare, sindrome di Paget, artrite settica o displasia congenita dell’anca.

Chi si sottopone a questo intervento

La maggior parte dei pazienti che si sottopongono all’intervento chirurgico di protesi d’anca sono individui di età compresa tra i 60 e gli 80 anni, in quanto l’osteo-artrosi e l’artrite reumatoide costituiscono i più frequenti fattori predisponenti a patologie ossee del genere.

In età meno avanzata, l’intervento di solito viene consigliato per soggetti che hanno subito fratture dell’anca in seguito a incidenti o a cadute.

Anche se molto più rara, questa operazione può essere eseguita anche sui bambini affetti da displasia congenita dell’anca, che però attualmente viene curata soprattutto con terapie conservative per evitare l’invasività della chirurgia.

In seguito all’intervento e a un mirato programma riabilitativo, il paziente migliora nettamente la mobilità articolare e le capacità motorie, anche per la scomparsa quasi completa della sintomatologia dolorosa.

Come si esegue l’intervento

L’intervento si esegue in anestesia generale, una metodica preferita a quella epidurale poiché l’operazione è lunga e complessa e il paziente semi-cosciente spesso non riesce a tollerarne l’impatto emotivo.

La procedura ha una durata compresa tra un’ora e un’ora e mezza, e prevede tre fasi successive, che sono una preventiva incisione dell’anca, a cui fa seguito la rimozione della porzione articolare danneggiata e la sua sostituzione con la protesi artificiale.

I materiali utilizzati sono in lega metallica oppure in ceramica o materiali plastici, a seconda delle condizioni della matrice ossea su cui si esegue l’intervento.

Il titanio e il polietilene sono i materiali più frequentemente usati in quanto hanno scarse possibilità di rigetto e vengono assorbiti agevolmente dal corpo umano.

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